Fortuna, il buco delle vite


Quando ho visto questo libro tra le mani di mia madre mi sono stupita, lei una severa prof di lettere che ama Dante e legge esclusivamente i grandi classici della letteratura, si è commossa come una bambina leggendo le pagine scritte da una giovane e sconosciuta esordiente. Le ho chiesto che cosa l’avesse fatto commuovere tanto di questo romanzo e lei mi ha risposto «Me lo ha consigliato una mia alunna, ero un po’ scettica, ma siccome e una ragazza che fa tanta fatica a leggere qualcosa ho voluto capire perché si fosse appassionata così tanto a questo romanzo e ora lo so, te lo consiglio dopo le prime pagine ti renderai conto che farai fatica anche tu a interrompere la lettura». Così spinta dalla curiosità, quella sera anch’io mi sono immersa nella lettura di Fortuna, il buco delle vite. Una lettura che è durata in modo incessante tutto il week end.
All’inizio della storia la protagonista del romanzo si chiama J. Rizzutelli ma poi diventerà Piccoletta la barbona e alla fine troverà conforto in una donna matura e responsabile dal nome Fortuna e ogni nome coinciderà perfettamente con una nuova esistenza tutta da costruire. Può sembrare impossibile, paradossale, eppure questa donna nel corso della storia riuscirà a vivere tre vite che saranno totalmente diverse l’una dall’altra. Nella prima vita J. è una ragazzina con i capelli rossi e gli occhi di un verde molto simile a quello degli smeraldi più preziosi che ha la sfortuna di nascere con una malformazione alla colonna vertebrale che viene soprannominata il buco della vita, per l’incapacità della sua famiglia di umili origini di chiamarla con il suo nome scientifico. Sin dall’inizio la malattia renderà molto difficile la vita della bambina, la gente del paese la considera figlia del diavolo e sua madre Anita, una bellissima ballerina di danza classica che per colpa della gravidanza ha dovuto abbandonare il suo sogno di entrar a far parte del corpo di ballo della Scala, la disprezza a tal punto che non riesce nemmeno a guardarla negli occhi. Probabilmente se la piccola J. non avesse avuto l’amore e il sostegno della sua nonna paterna, l’eccentrica Umberta Prima Rizzutelli, avrebbe ricordato pochi momenti felici della sua infanzia. Nonna e nipote vivono un rapporto speciale, sembrano due anime gemelle destinate a non lasciarsi mai, ma un giorno Umberta si ammala e dopo aver trascorso diversi anni immobilizzata in un letto muore in una calda e afosa mattina d’estate, lasciando J. nella disperazione più profonda. La perdita della nonna è un dolore troppo forte che la trascina nel tunnel oscuro dell’anoressia prima e della bulimia poi. La giovane trova la forza per reagire soltanto quando ormai è diventata adulta e si rende conto che sta sprecando la sua vita, fugge dalla casa natia e prendendo un treno a caso si ritrova a Roma sperando di dare un taglio netto con il passato, ma nella capitale l’unica cosa che J. riesce a trovare è una nuova dose di sofferenza. Sola e senza soldi si ritrova a vagare per le strade di una città che si presenta fredda e ostile, soltanto l’incontro con un vecchio barbone su una panchina di fronte alla stazione Termini le dà modo di scampare a una fine sicuramente tragica. Così J. si trasforma in Piccoletta e vive più di dieci anni lottando spietatamente per la sopravvivenza, mangiando i rifiuti degli altri e proteggendosi dal freddo con dei vecchi cartoni trovati in giro qua e là. Ormai è quasi allo stremo delle forze quando finalmente incontra Nadir, un maturo e affascinante pediatra ruandese, che all’inizio spinto esclusivamente dal suo amore per la professione medica decide di aiutarla a risollevarsi dallo stato di prostrazione in cui versa. Ma con il trascorre del tempo il rapporto tra Nadir e Piccoletta si evolverà e lui dopo aver lottato tanto riuscirà persino a restituirle un posto dignitoso nella società è a questo punto che nasce finalmente Fortuna, una donna forte e sicura di sé che per amore dell’uomo che le è accanto prenderà una decisone molto importante: lasciare l’Italia per trasferirsi in Ruanda a pochi giorni dall’inizio di uno dei più sanguinosi genocidi della storia contemporanea.
Qualcuno ha detto: «Capisci di aver letto un buon libro quando giri l’ultima pagina e ti senti come se avessi perso un amico». Ecco, è proprio così che mi sono sentita quando ho letto l’ultima pagina di questo libro, come una persona che è costretta a salutare per sempre un carissimo amico che le ha tenuto compagnia per un pezzo di vita. Ora capisco perfettamente l’emozione di mia madre e l’entusiasmo della sua giovane alunna che a quanto sembra non ha mai avuto un buon rapporto con i libri, perché Fortuna ti entra nell’anima e poi uscire dal suo mondo è molto difficile. Jolanda Buccella, la giovane autrice di questo romanzo al suo esordio nel mondo letterario, è riuscita a dare alla luce una storia che è capace di toccare le corde dell’anima, avvincente, emozionante, a volte persino anche un pochino cruda quando tocca temi come l’handicap e i disturbi alimentari ma quello che è assolutamente certo è che non correre mai il rischio di cadere nel banale, la sua scrittura semplice ed immediata riesce a coinvolgerti a tal punto da desiderare di non staccarti mai dai personaggi che racconta in modo abile e originale. Spero che questo sia soltanto il suo primo romanzo perché sicuramente continuerò a seguirla, un simile talento non può non essere apprezzato e condiviso.
Fortuna, il buco delle vite edito da Ciesse edizioni collana green giugno 2012 codice ISBN libro 978 88 6660 0442 codice ISBN e-book 978 88 6600459 inoltre sul sito della casa editrice www.ciessedizioni.it sono disponibili le prime venti pagine da leggere!

Autore: Jolanda Buccella
Casa Editrice: CIESSE Edizioni
Recensione di: Lavinia Dal Monte


0 comments: